Se chiedessimo a un cittadino europeo di elencare le principali questioni che dovrebbero essere all’ordine del giorno dell’agenda politica comunitaria, tra di esse non troveremmo di sicuro il suolo (1). L’opinione pubblica tutt’oggi non considera il suolo alla stregua di altre risorse naturali sovrasfruttate dall’uomo, quali l’acqua o le foreste, anche se la comunità scientifica studia da anni soluzioni volte a salvaguardare e rendere noti gli ecosystem services, ovvero i molteplici benefici forniti dagli ecosistemi al genere umano, che rendono unico e insostituibile il suolo (2).
Il suolo garantisce la vita, generando la quasi totalità del cibo a nostra disposizione e custodendo oltre il 95% della variabilità genetica della Terra; ha inoltre il ruolo strategico di regolare i cicli biogeochimici del pianeta (3), quali il ciclo del carbonio, da cui dipende il noto fenomeno del Global Warming. Basti pensare che gli stock di carbonio accumulati in questa sottile epidermide, pari a circa tre volte il quantitativo di carbonio presente in tutta l’atmosfera, sono fondamentali per raggiungere gli obiettivi dell’UE in termini di riduzione di gas climalteranti, catturando oltre il 20% delle emissioni di anidride carbonica prodotte dall’uomo.
Ciononostante, manca la consapevolezza del suolo come risorsa naturale, il quale è piuttostosubordinato al ruolo di materia inerte e strumento utile a sostenere altro, come infrastrutture o coltivazioni. A tal proposito, emblematica è l’insufficiente terminologia che definisce il suolo come risorsa naturale. Ce lo dimostra il recente testo unico ambientale italiano (Dlgs 152/06) che definisce genericamente il suolo come “territorio, suolo, sottosuolo, abitati e opere infrastrutturali”. Ecco che il suolo non viene definito per sé, bensì attraverso elementi che sono tutt’altro rispetto al suolo stesso.
Diverse ricerche affermano che sia proprio l’assenza di consapevolezza sul ruolo del suolo all’interno dell’ecosistema e del sistema economico uno dei principali ostacoli allo sviluppo di politiche volte a una pianificazione che si ponga come obiettivo un suo uso sostenibile, nonostante la continua degradazione sia quantificabile in circa 5 miliardi di euro l’anno (4). Lo dimostra il fatto che, sebbene fin dal 2006 la protezione del suolo sia entrata a far parte delle priorità ambientali dell’Unione Europea, ancora non esiste una direttiva quadro volta a salvaguardarlo. A ciò si aggiunge la difficoltà di conciliare, da un lato le necessità crescenti di tutelare un bene collettivo, e dall’altro la storica (e culturale) gestione del territorio basata sul concetto di proprietà privata.
La maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che la conoscenza del suolo come risorsa naturale, della sua vulnerabilità e della temporalità che porta alla naturale formazione e irreversibile distruzione da parte dell’uomo, sia un elemento chiave per rendere il suolo “sexy” (5). Un modo, questo, per catturare l’attenzione dei media, dell’opinione pubblica e di conseguenza della classe politica. Pochissimi sanno, ad esempio, che mediamente un centimetro di suolo si crea in un arco temporale di duecento anni o più e che le poche decine di centimetri di suolo che possiamo immaginare sotto un tappeto erboso racchiudono millenni di storia. Se ripercorressimo la storia dell’uomo a ritroso, e nel contempo scavassimo quei centimetri di terra che si sono formati nello stesso arco temporale, ci basterebbe rimuovere una zolla di 3 cm per scoprire che quello stesso suolo potrebbe essere stato calpestato da Cristoforo Colombo prima di scoprire le Americhe, mentre rimuovendone solo 8 centimetri ci accorgeremmo di calpestare un campo di battaglia decisivo per la caduta dell’Impero Romano!
Se da un lato, quindi, manca la cognizione del naturale corso del tempo indispensabile alla formazione del suolo, dall’altra la consapevolezza della sua vulnerabilità è a sua volta poco riconosciuta. Basti pensare che la cementificazione dei suoli, diffusa su tutto il territorio europeo e in particolar modo in Italia, sottrae irrimediabilmente ogni anno terreno fertile a ritmi vertiginosi dell’ordine di 8 metri quadri al secondo.
Nel passato tutto ciò poteva assumere un significato marginale, celandosi dietro ad una disponibilità di terra apparentemente illimitata. Tuttavia, oggi la necessità di tutelare la risorsa suolo appare più che mai irrinunciabile e non più prorogabile, soprattutto se ci si sofferma su questo dato: da oltre 30 anni gli ettari coltivabili sono costantemente fermi a 1.5 miliardi riducendosi, anno dopo anno, la disponibilità pro-capite di terreno fertile (6). Terreno che, oggi come ieri, è l’unica risorsa in grado di sostenere la produzione agricola e alimentare della popolazione mondiale in continua crescita. Tale unicità ha avuto un risvolto drammatico durante la primavera del 2008, quando una crisi alimentare di impatto planetario ha portato a un aumento generalizzato dei prezzi dei cereali, sfiorando in poche settimane il 150%. Nonostante non sia ancora del tutto accettata l’interpretazione secondo la quale la crisi fu imputabile all’aumento della domanda dovuta alla crescita di paesi emergenti, quali Cina e India, e all’aumento della produzione di biocarburanti, è emerso ciò che nessuno fino ad allora sembrava aspettarsi, ovvero che il cibo, sul pianeta, potesse divenire scarso. Un sistema produttivo strategico, quindi, ma divenuto fragile, che necessita di essere mantenuto integro fin dalle sue radici, ovvero il suolo.
Ciononostante, negli ultimi anni stanno fiorendo, a livello europeo, iniziative volte ad accrescere la consapevolezza sul valore fondamentale del suolo. Ad esempio, dal 2009 è attivo lo European Network of Soil Awareness, finanziato anche dalla Commissione Europea, il cui obiettivo è riunire tutti gli stakeholders che interagiscono con il suolo tra cui studiosi, amministratori pubblici, rappresentanti di ONG, educatori, e favorire la familiarità e la conoscenza delle problematiche ad esso legate. Anche il Joint Research Centre, istituto di ricerca per l’UE, da alcuni anni si occupa di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza del suolo per lo sviluppo dell’Europa, finanziando progetti e iniziative specifiche nelle scuole e nelle istituzioni. D’altro canto, anche altre politiche nazionali e sovranazionali hanno la potenzialità per contribuire a salvaguardare il suolo, nonostante questo non sia il loro obiettivo primario. E’ il caso della rete “Natura 2000”, creata per preservare gli habitat e le specie vulnerabili, oppure della politica agraria comunitaria, sempre più indirizzata a sostenere misure di protezione “agro-ambientali” nella gestione del territorio.
Sono passi importanti e incoraggianti, ma non sufficienti, per trasmettere all’opinione pubblica la complessità e la vulnerabilità di questa risorsa naturale limitata e la pressante necessità di tutelarla in quanto indispensabile per garantire la vita sulla Terra.
Nicola Dal Ferro (PhD) lavora presso il Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse Naturali e Ambiente (DAFNAE) dell’Università di Padova, dove concentra la propria attività sulla difesa del suolo e la ricerca di pratiche di uso sostenibile del terreno.
Video consigliato: “Let’s talk about soil”
Bibliografia:
1) European Commission, 2011, Attitudes of European Consumers Towards the Environment. Special Eurobarometer 365. TNS Opinion & Social, Brussels.
2) Dominati, E., Patterson, M., Mackay, A., 2010, A framework for classifying and quantifying the natural capital and ecosystem services of soils. Ecological Economics, 69:1858-1868.
3) Lal, R., 2004. Soil carbon sequestration impacts on climate change and food security. Science 304, 1623-1627.
4) Jones, A., Panagos, P., Barcelo, S. et al., 2012, The State of Soil in Europe. JRC reference reports, Report EUR 25186 EN.
5) Glover, A., 2013, There’s a lot of excitement in a handful of dirt – so why don’t we talk about it more? Soil Carbon Sequestration conference, Iceland, 26-29 Maggio.
6) Meadows, D.H., Meaows, D., Randers, J., 2006, I nuovi limiti dello sviluppo, Mondadori, 386 pp.