La scienza aperta è un metodo per produrre conoscenza scientifica condividendo i suoi risultati, aprendoli alla revisione della comunità scientifica, rimuovendo gli ostacoli alla circolazione e allo scambio di informazione, e aprendosi alla partecipazione e condivisione dei cittadini alla produzione di sapere. Ma quali sono le sue basi culturali? Ritengo ci sia un legame tra gli scienziati che praticano biologia open e l’etica e i miti che circondano uno degli eroi della rivoluzione dei computer e della società dell’informazione: l’hacker. La cultura della scienza aperta che sta emergendo è influenzata dalla ricchezza e diversità di pratiche e culture che caratterizzano gli hacker, dato che mescola ribellione e condivisione, odio per le burocrazie, edonismo e uso di metafore sulla natura come mera informazione che bisogna gestire. Questa cultura è all’opera in contesti di crisi e trasformazione in cui si ridefiniscono le relazioni tra ricercatori e istituzioni scientifiche, oltre che le pratiche di comunicazione e di commercializzazione della scienza.
Chiamo dunque «biohacker» quei biologi le cui pratiche rappresentano un remix di culture che aggiorna l’ethos della scienza tradizionale includendovi elementi provenienti da hacking e free software. Questi ultimi stanno contaminando le culture scientifiche, in quello che potremmo definire un feedback culturale. Questo processo di coevoluzione è legato all’influenza profonda e diffusa dei computer e delle reti sulla ricerca. Le storie contenute in questo libro sono infatti tutte legate alla creazione di database genomici e laboratori in rete, all’uso di strumenti di condivisione online e open source. Ma la contrapposizione tra «open» e «closed» non è sufficiente a comprendere le trasformazioni in atto nella ricerca scientifica e medica. Occorre invece concentrarsi sulla dimensione del potere: per rispondere a quali bisogni e con quali risultati vengono lanciati progetti di biologia o ricerca open?
L’uso di strumenti e licenze aperte ha un ruolo costituente, dato che è parte di un fenomeno di costruzione di nuove istituzioni scientifiche differenti e in competizione con quelle tradizionali. Negli ultimi decenni sono nate esperienze che si fondano sui media digitali per mettere al centro della loro azione la condivisione e l’accesso: nuove riviste scientifiche ad accesso aperto, piattaforme per la cooperazione scientifica in rete, database open, licenze alternative a quelle tradizionali, strumenti per l’insegnamento a distanza, forme di scrittura collaborativa, programmi per l’inclusione dei cittadini nella ricerca scientifica, nascita di pubblici online che si dedicano alla discussione della ricerca senza la mediazione delle istituzioni. Non si tratta solo di un cambiamento tecnologico, ma anche di un profondo mutamento sociale. L’emergere di nuove comunità scientifiche e nuove alleanze tra attori diversi sta cambiando il panorama della ricerca.
Condividere dati genetici attraverso database ad accesso aperto, crackare un codice dna, standardizzare parti biologiche o produrre strumentazione open source per la ricerca biomedica fa parte di un processo che è caratterizzato anche da cambiamenti istituzionali e mette in discussione alcune delle nostre assunzioni sul rapporto tra scienza, mercato e potere. Alla base di questo cambiamento vi è una trasformazione culturale caratterizzata dall’influenza profonda delle culture legate all’hacking e al software libero.
Nel libro sono presentati diversi casi, molto visibili sui media, di progetti di ricerca biomedica: la svolta open access del biologo americano Craig Venter durante la spedizione della sua nave da ricerca, il Sorcerer II. La ribellione pubblica della virologa veterinaria italiana Ilaria Capua contro le politiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla condivisione dei dati relativi all’influenza aviaria. La nascita di DIYbio (do-it-yourself biology, biologia fai-da-te), una comunità transnazionale di persone che fanno ricerca biologica al di fuori delle mura delle istituzioni scientifiche. Il gesto di Salvatore Iaconesi, un hacker che ha condiviso la sua cartella sanitaria per mettere a disposizione di chiunque le informazioni relative al suo tumore al cervello. Si tratta di casi molto diversi: scienziati mainstream che lavorano in istituzioni di rilievo globale e persone che non appartengono alle istituzioni della ricerca e mettono in campo progetti scientifici in forma autonoma o addirittura amatoriale. Ma tutti questi casi hanno contribuito attivamente a cambiare le istituzioni della ricerca in direzione di una scienza più aperta, anche se in modo multiforme e tutt’altro che univoco.
In questo senso il paragone con gli hacker è utile per studiare la scienza contemporanea, perché permette di analizzare pratiche e discorsi neoliberisti e allo stesso tempo comprende discorsi di democrazia, giustizia e partecipazione. L’esito di queste trasformazioni della ricerca scientifica infatti non è ancora deciso: si tratta di una scienza più democratica e distribuita che mette nuovi strumenti nelle mani dei cittadini oppure di nuove forme di concentrazione di potere basate sul controllo delle reti?
Il testo è un estratto da Biohacker. Scienza aperta e società dell’informazione (Eleuthèra 2013, pp. 120, € 10)
Alessandro Delfanti lavora al centro di ricerca Media@McGill della McGill University di Montreal, dove si occupa di media partecipativi nel settore medico e scientifico. Con Adam Arvidsson è autore di Introduzione ai media digitali (Il Mulino 2013). Il suo sito è www.delfanti.org