Nel 1985 la Royal Society di Londra pubblicò uno storico rapporto in cui invitava la comunità scientifica ad assumersi la responsabilità della comprensione pubblica della scienza. Da allora, il rapporto ha stimolato ricerche e mobilitato risorse per avvicinare la scienza ai cittadini. Due erano i principali fenomeni a cui il rapporto faceva seguito. Da un lato, disastri ambientali come Seveso, Bophal, Chernobyl avevano ricordato a molti che i progetti scientifici e tecnologici di modernizzazione, pur di grande successo, potevano sviluppare massicce lacune di credibilità nel pubblico Dall’altro, governi sempre più in difficoltà nel finanziare in Ricerca e Sviluppo cercavano di attirare maggiori fondi privati. Da allora, molte università hanno avviato programmi per educare i comunicatori, offrire ai giornalisti una ventata di scienza e ad alcuni scienziati una nuova possibilità di carriera. Le istituzioni scientifiche fanno sempre più pressione sui media per avere spazio nelle notizie.
La produzione della cultura scientifica è esplosa nel corso degli ultimi 25 anni, cavalcando le onde del trionfalismo della nuova genetica e dell’IT, confermando le visioni apocalittiche del cambiamento climatico e saltando sui carri delle neuroscienze, della nanotecnologia. La ricerca su comunicazione e percezione pubblica della scienza mostra come alcune cose siano cambiate, e altre siano rimaste le stesse. Le notizie scientifiche sono aumentate notevolmente dal 1990 su scala globale; cresce tuttavia la preoccupazione per la qualità del giornalismo, alimentata dalle condizioni precarie di lavoro nel settore.
L’obiettivo fondamentale di chi comunica scienza si è spostato dall’educare un pubblico apparentemente analfabeta, al formare un atteggiamento più favorevole e sostenere il dialogo tra scienziati e cittadini. Qualche tempo fa il deficit era tutto dalla parte del pubblico, ora entrambe le parti riconoscono la necessità di imparare gli uni dagli altri. I dati mostrano che l’alfabetizzazione scientifica migliora tra gli adulti; le discussioni sul nucleare, sulla nuova genetica e sull’ambiente sembrano aver fatto bene al pubblico. Le aspettative dei cittadini sono in aumento. Sempre più persone riconoscono che la scienza e la tecnologia rendono la nostra vita più sana, creano opportunità di lavoro e rendono la vita più interessante. È su questi risultati utilitaristici che si è costruita l’autorità sociale della scienza. Tuttavia, la visione ingenua di molti scienziati – “più si conosce la scienza, più la si ama” – non trova oggi conferma, soprattutto in Europa (mentre per certi versi tiene in India e in Cina).
L’alfabetizzazione porta anche aspettative negative per quello che riguarda il potere e quindi la pericolosità della conoscenza, l’irrilevanza di certa scienza per la vita quotidiana, l’insoddisfazione per la velocità del cambiamento e una crescente consapevolezza che la scienza e la tecnologia potrebbero non essere la soluzione a tutti i nostri problemi. La ricerca sugli atteggiamenti del pubblico verso la scienza procede: oggi il dialogo è visto come strumento per costruire un ‘sensus communis’ più che per forzare la mano con delusioni tecnocratiche. La nuova ricerca, più distante dagli imperativi pratici, studierà la crescita della ‘produzione della cultura scientifica’ e le sue conseguenze non intenzionali, come i rischi di frode e di spettacolarizzazione legati alla professionalizzazione delle pubbliche relazioni in centri di ricerca e università. E’ anche in questo senso che la ricerca sul rapporto tra scienza e società può incoraggiare un’opinione pubblica attenta e critica.
Martin W. Bauer insegna Psicologia Sociale e Metodologia della Ricerca alla London School of Economic. Si occupa di rappresentazioni sociali e atteggiamenti del pubblico nei confronti di scienza e tecnologia, in particolare genomica e biotecnologie. Collabora alle realizzazioni delle indagini dell’Eurobarometro e dirige una tra le più importanti riviste del settore, Public Understanding of Science.