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Guido Silvestri (Silver)
La fattoria di Lupo Alberto, nel suo progetto iniziale, doveva essere costituita da un agglomerato umano, o meglio, da un agglomerato di animali antropomorfi posti tutti sullo stesso piano, ossia personaggi comprimari. Poi, è successo, come spesso capita, che un personaggio ti prende la mano, appare più duttile degli altri, stimola maggiormente la creatività: Lupo Alberto è diventato il protagonista. Forse anche perché il lupo è un animale che mi ha sempre affascinato per la capacità di poter essere al contempo sia un animale estremamente sociale capace di vivere in branco, sia un animale solitario che può vivere anche da solo. Forse da giovane, a 21 anni quando ho creato il fumetto Lupo Alberto, mi sentivo un po’ selvatico, un po’ lupo e la simpatia verso questo animale mi ha portato a introdurlo nelle mie storie.
Il personaggio di Lupo Alberto, così come tutta la fattoria, è strettamente collegato all’ambiente del giardino, ambiente agreste, collinare, così bucolico; un paesaggio abbastanza anglosassone derivato esclusivamente dalla mia immaginazione attraverso la mediazione di film, fumetti e cartoni animati. Nella realtà, la natura alla quale mi accostavo, in particolare nell’infanzia, è riconoscibile nelle campagne di Modena, dove ero solito trascorrere i pomeriggi in mezzo alla natura, ai fiori, ai ranocchi, all’erba, alle foglie, agli alberi. Questi incontri con la natura fanno parte di me stesso e, ovviamente, ho poi trasferito questa parte di me anche nei disegni dei miei personaggi. In parte, credo di avere creato questo fumetto, questa fattoria, alla quale sono molto affezionato, per evadere dalla realtà. La fattoria di Lupo Alberto è un mondo che mi sono costruito su misura, un mondo immaginario in cui fuggire perché senza angosce, ansie né preoccupazioni.
È ricorrente trovare nei miei fumetti la presenza di un grande albero al centro della scena. Ho trovato una possibile spiegazione ripensando alla mia infanzia. Da bambino leggevo una storia che usciva a dispense su Peter Pan e rimasi affascinato dal suo disegno e dalla sue vicende. Peter Pan, come è noto, viveva all’isola che non c’è, nella cavità alle radici di un grosso albero ed era raffigurato con un vestito ricoperto di foglie; ebbene, io da bambino tornai un giorno a casa con un mucchio di foglie raccolte in giardino perché mia madre potesse realizzare il mio piccolo sogno: avere un abito di foglie come Peter Pan.
Recentemente ho creato nuovi disegni per una azienda di fitofarmaci nel quale riprendo questa dimensione centrale di un gigante albero. Ho immaginato una officina delle erbe nella quale lavoravano diversi animali: un tasso, uno scoiattolo, un riccio, un castoro realizzano prodotti farmaceutici a base di fiori all’interno di un gigantesco platano che viene utilizzato come laboratorio.
Ho in mente un fumetto che spero di realizzare presto ambientandolo ai giardini pubblici di Milano al cui centro porre una enorme quercia rossa con rami spropositati. Al suo interno vorrei sviluppare le vicende di una serie di animali scappati dallo chiusura dello zoo e rifugiatisi fra le radici dell’ albero.
Posso dedurre che la mia immaginazione ruota continuamente attorno a questa idea infantile di un grosso albero che ospita vari personaggi o delle comunità.
Pia Pera
A partire dal Neolitico noi esseri umani coltiviamo la terra. Per lunghi secoli è rimasta la presenza del bosco con certe forme ancora civili di caccia, con certe presenze culturali dell’uomo selvatico, in un rapporto di complementarietà. Poi qualcosa è andato perduto: alla presenza di un animale, come di una volpe o di un orso tutti si spaventano. Insomma, questo rapporto importantissimo con il selvatico è scomparso. Oliva Di Collobiano scrive: “nel giardino che sia veramente bello che abbia bellezza ci deve essere una vibrazione del selvatico”. È fondamentale avvertire questa vibrazione del selvatico, questa dimensione di libertà, di non prevedibilità.
Io mi dedico con impegno a diffondere orti nelle scuole poiché ritengo che uno dei bisogni primari del nostro tempo sia, al di là di coltivare piante, coltivare giardinieri ossia persone che poi saranno capaci di prendersi cura del mondo. L’esperienza dell’orto didattico organizzato in modo ludico offre ai bambini la possibilità di conoscere il mondo del giardino e nel contempo di approcciarsi con l’elemento di regole molto precise, di cose che bisogna fare.
Ma cosa significa fare giardino oggi? Molto si gioca sul rapporto del giardiniere con gli animali che popolano il giardino. Per lungo tempo il giardinaggio era una vera e propria opera di sterminio. L’idea fissa del giardiniere era sterminare i parassiti, uccidere le talpe, fare a pezzi l’istrice. Poi qualcosa è cambiato nei giardinieri più illuminati, come Ippolito, Pizzetti e altri, i quali hanno cominciato a guardare al giardino in modo nuovo. Il giardino non è più considerato esclusiva proprietà del singolo, ma come una piccola riserva naturale. Si comincia a parlare di bird garden, cioè il giardino per gli uccelli: si realizzano siepi idonee come fornitrici di cibo per gli uccelli, punti selvatici dove nidificare. Oppure vengono, appositamente, abbandonati mucchi di ramaglie dove ricci e topi possano preparare il nido.
Gilles Clément ha individuato come il primo trauma della sua vita il vedere il proprio padre uccidere a fucilate delle talpe mentre egli non ne comprendeva il motivo: le talpe arieggiano il terreno, quei bei mucchietti, ma che fastidio ci danno! Infatti, un giardino in cui, per esempio, un cane non possa scavare una buca o nel quale un gatto non possa raspare o dove gli uccelli non possano cibarsi delle ciliege è un giardino, a mio avviso, alquanto disgustoso. Infatti, poi è cambiata la percezione del giardino. Ci siamo finalmente accorti che se lasciamo entrare gli animali, magari attuando dei semplici accorgimenti come recintare per l’istrice l’orto, se siamo un po’ più ospitali, se lasciamo un po’ di simbiosi il giardino è davvero più bello.
Ho parlato molto di animali, perché animali e giardino sono un po’ una cartina torna sole. Inoltre non è molto diversa l’ospitalità verso gli animali rispetto all’ospitalità verso le piante. Esiste anche un particolare genere di giardino: irreggimentato, nel quale l’uomo decide il posto specifico di ogni cosa, nel quale ogni cosa deve obbedire ai miei ordini. Pizzetti coniò il termine di G. M. M. M. per sottolineare questo comportamento. Grande Madre Massaia Mediterranea era una persona che, esemplificando, disprezza le foglie secche del giardino, non sopporta la vista di frutti caduti a terra, il prato deve essere rigorosamente tosato. Questo è quello che considero un giardino noioso.
Ecco che come si accolgono gli animali selvatici si dovrebbe ugualmente dare ospitalità alle erbe selvatiche cioè alle erbe spontanee, che crescono dove hanno deciso loro e non dove abbiamo deciso noi.
Questo è un elemento fondamentale del giardino oggi: non si parla più di erbacce, ma ci si rapporta con la dovuta sensibilità sia verso le piante sia verso gli animali presenti nell’ambiente giardino.