di M. Bucchi
“Che cosa dicono di noi le nostre ricerche?”. La frase con cui Google presenta le statistiche dei termini più cercati nel 2014 attraverso il proprio motore di ricerca evoca una questione più ampia ed oggi molto dibattuta. Le enormi quantità di informazioni raccolte grazie ai grandi archivi digitali ai quali offriamo i nostri dati in cambio di servizi quali email e social network possono integrare e perfino sostituire le modalità tradizionali di raccolta dati (dati sulla popolazione, indagini sull’opinione pubblica) per comprendere e interpretare la società e i suoi cambiamenti?
Qualche anno fa ha fatto scalpore uno studio pubblicato su Nature dai ricercatori di Google: analizzando sul motore di ricerca alcune parole chiave come “influenza” riuscirono a monitorare con accuratezza, prima degli stessi dati epidemiologici, la diffusione del virus. Ricercatori come Duncan Watts di Microsoft Research ritengono di poter comprendere, attraverso il trattamento sempre più sofisticato dei network informativi (ad esempio i messaggi su Twitter), un’ampia gamma di fenomeni sociali che vanno dai cambiamenti di opinione alle crisi finanziarie. La neonata computational personality recognition promette perfino di ricostruire la nostra personalità analizzando con sofisticati software le conversazioni online (“chi usa molta punteggiatura ha un basso tasso di estroversione, chi utilizza parole più lunghe di sei caratteri è di solito più introverso”) […]