La ricerca sulle energie alternative è quella che sta più a cuore degli Italiani. Scontato il nesso con il prezzo del petrolio in continua salita. Al secondo posto troviamo gli studi sui mutamenti del clima: un tema che con il link dell’effetto serra dovuto all’uso dei combustibili fossili, confina con quello dell’energia.Ma gli Italiani sono anche molto interessati allo sviluppo delle biotecnologie: settore che si colloca al terzo posto. Seguono le neuroscienze, le telecomunicazioni, le nanotecnologie, la chimica, la ricerca spaziale.
Sono in sintesi i risultati della nuova indagine condotta da Observa in collaborazione con tuttoScienzeTecnologia del La Stampa nell’ambito dell’Osservatorio Scienza e Società, dopo quella dedicata alle cellule staminali e alla fecondazione assistita e quella sugli organismi geneticamente modificati
La politica della ricerca è diventata da qualche tempo oggetto di pubblica discussione. Nella maggior parte dei casi l’attenzione si concentra sulla scarsa disponibilità di risorse finanziarie, non mancando mai di sottolineare che l’Italia investe troppo poco sulla ricerca scientifica e sull’innovazione tecnologica. Meno frequentemente si discute anche di come le risorse disponibili vengono utilizzate, in genere segnalando sprechi e contraddizioni, insieme alla necessità di orientare in modo più selettivo la ricerca; ma quando si tratta di affrontare il problema delle priorità verso cui indirizzare il lavoro degli scienziati, la discussione sembra scomparire dalla scena pubblica per rimanere circoscritta fra pochi attori.
Il processo che conduce a stabilire priorità e strategie di finanziamento della ricerca vede infatti come protagonisti gli scienziati, in quanto utilizzatori delle risorse messe a disposizione per il loro lavoro, e i politici, in qualità di rappresentanti degli interessi della società, che figura insieme come committente e come destinataria della ricerca scientifica. Anche gli imprenditori hanno voce in capitolo, sia come finanziatori diretti della ricerca nel settore privato o come partner di quella pubblica, sia come attori principali dei processi d’innovazione.
Fin qui tutto bene, se non fosse che la capacità della politica di rappresentare la congerie di interessi di cui si compone il nostro tessuto sociale risulta ormai logora, mentre non si può certo pensare di ridurre la società al mondo delle imprese. Credere che i cittadini debbano limitarsi a sostenere la ricerca scientifica pagando le tasse e a subirne, nel bene e nel male, gli effetti è una prospettiva ormai superata, da un lato dalla presenza sempre più pervasiva della scienza nella vita quotidiana e, dall’altro, dalla moltiplicazione dei punti di vista che concorrono a definirne il ruolo.
Al contrario, il coinvolgimento dei cittadini potrebbe avere interessanti sviluppi per quanto riguarda le decisioni in materia di politica della ricerca. Non si tratta di cadere nella trappola demagogica delle decisioni prese sulla base della vox populi, dal momento che nessuno si sognerebbe di scambiare la delega agli esperti o ai politici con una in bianco ai cittadini; si tratta piuttosto di tenere nel debito conto anche il loro parere.
Su queste basi, provare a chiederci quale direzione potrebbe prendere la politica della ricerca se ai cittadini venisse restituita la possibilità di essere ascoltati non sembra più un puro esercizio retorico.
Gli orientamenti prevalenti nell’opinione pubblica sono evidenti. La priorità deve essere riconosciuta alla ricerca finalizzata al miglioramento delle nostre capacità di utilizzo delle energie alternative (26,2%); al secondo posto si colloca la comprensione dei mutamenti climatici (18,5%) e al terzo lo sviluppo delle biotecnologie (13,6%). Le indicazioni risultano molto stabili, dal momento che la posizione relativa dei diversi settori di ricerca non cambia se consideriamo separatamente le prime e le secondo scelte. Inoltre né il genere, né l’età e nemmeno il livello d’istruzione introducono significativi cambiamenti, fatto salvo che i laureati spostano le biotecnologie al secondo posto con il 21% delle preferenze contro il 13% di chi ha ultimato la scuola dell’obbligo o è in possesso di un diploma.
In termini generali, le preferenze espresse si prestano a due ordini di considerazioni. In primo luogo troviamo ai primi posti della classifica delle priorità non solo settori di ricerca riconducibili a problemi vicini alla quotidianità – non è difficile abbinare la ricerca sulle energie alternative all’inquinamento, in questa fase soprattutto quello attribuito al traffico, oppure la ricerca biotecnologica all’attesa di possibili applicazioni in medicina – ma anche ambiti dalle ricadute all’apparenza meno immediate – la comprensione dei mutamenti climatici – per quanto sempre vicini a fenomeni direttamente osservabili da chiunque.
E’ interessante rilevare, in secondo luogo, il diverso ordine di priorità indicato dai cittadini rispetto a quello espresso a livello politico-istituzionale. Infatti, mentre la bioscienza, la nanoscienza e l’infoscienza vengono definite come settori strategici a cui riconoscere preminenza negli investimenti futuri dal Programma Nazionale di Ricerca approvato dal Governo italiano nel 2002, solo le biotecnologie rientrano nell’orizzonte delle priorità dell’opinione pubblica; al contrario, le neuroscienze, le telecomunicazioni e le nanotecnologie rimangono in una posizione piuttosto defilata, raccogliendo rispettivamente solo il 7,2% (4° posto), il 6,6% (5° posto) e il 5,3% (7° posto) delle preferenze.
Anche l’attenzione riservata alla ricerca nell’ambito dell’energia nucleare risulta modesta (6,2% corrispondente alla sesta posizione della graduatoria), specie se confrontata alla posizione di primo piano riconosciuta invece alle energie alternative.
Ciò del resto non desta particolare sorpresa, visto che il nucleare sconta ancora nel nostro Paese un chiaro pregiudizio negativo. Un analogo orientamento permane inoltre anche nei confronti della chimica, un settore di ricerca ritenuto importante solo dal 4,3% degli intervistati.
Il caso delle biotecnologie merita, infine, un ulteriore commento, non solo perché sono attualmente al centro di un animato dibattito, ma anche perché rappresentano la palese dimostrazione della debolezza della tesi secondo la quale gli Italiani sarebbero pregiudizialmente ostili alla ricerca in questo ambito. Il fatto che il 12,9% abbia riconosciuto priorità a questo settore come prima scelta e che il 13,5% l’abbia fatto come seconda scelta dimostra, infatti, l’esistenza di un forte interesse nei loro confronti. I risultati della rilevazione avrebbero dovuto essere significativamente diversi, se il nostro Paese fosse attraversato da una diffusa ostilità nei confronti delle biotecnologie o della scienza in generale.
Allo stesso modo, un fenomeno come Telethon – o come le altre numerose campagne di finanziamento diretto di programmi di ricerca da parte dei cittadini – si spiega solo con una diffusa fiducia nella scienza. Il successo riscosso da simili iniziative sembra inoltre la prova evidente che quando i cittadini percepiscono la possibilità di contribuire ad orientare la ricerca scientifica il loro interesse e il loro sostegno non vengono certo a mancare.
L’articolo è stato pubblicato il 13 Aprile 2005 sull’inserto TuttoScienzeTecnologia del quotidiano La stampa, con il titolo “Gli Italiani e la ricerca”.
Le note metodologiche sono disponibili in allegato.