Sempre più frequentemente, oggi, la scienza si trova coinvolta nel tentativo di comprendere ed interpretare gli ambiti più distintivi e peculiari dell’esperienza umana, come i sentimenti e le emozioni. In seguito ai grandi progressi compiuti in campo genetico e biomedico, infatti, si è diffusa l’idea che molte espressioni del nostro sentire, dalla timidezza all’aggressività, abbiano un’origine biologica e dipendano dal nostro patrimonio ereditario. Non fa eccezione la gelosia, sentimento fra i più comuni, che soprattutto in estate, quando il sole, il caldo e il clima vacanziero favoriscono comportamenti più rilassati e liberi, appare al centro della curiosità e dell’interesse – nonché dei litigi – degli innamorati e del pubblico; un caso interessante per comprendere quanto sia diffusa nell’opinione pubblica la percezione che le esperienze emotive, al pari dei tratti fisici individuali, presentino un fondamento genetico.
A questo proposito, la maggioranza degli Italiani non ha dubbi: la gelosia è inscritta nei nostri geni. Secondo sette intervistati su dieci, è il patrimonio genetico individuale a determinare la maggiore o minore propensione alla gelosia. A loro avviso, le persone più inclini ad ingelosirsi non devono questa loro tendenza all’educazione ricevuta, alle esperienze vissute o ai modelli comportamentali di riferimento, ma alla loro costituzione biologica. In altre parole sono geneticamente portate alla gelosia.
Questa ampia adesione all’idea della matrice genetica della gelosia può essere dovuta, almeno in parte, al fascino suscitato nel grande pubblico dagli sviluppi della ricerca genetica, primo fra tutti la mappatura del genoma umano, e dalle prospettive che essa sembra dischiudere. Gli annunci sempre più frequenti della scoperta “del gene dell’obesità o “del gene dell’intelligenza” oppure della decifrazione dei geni che provocano il cancro, a cui stampa e televisione continuano a dedicare grande attenzione, possono aver contribuito ad alimentare una visione deterministica della relazione tra il patrimonio genetico di un individuo e i suoi tratti caratteriali e comportamentali.
D’altra parte, nell’adesione all’idea della matrice genetica delle emozioni, come la gelosia, sembra pesare in modo significativo il grado di familiarità con il linguaggio scientifico e i fondamenti delle scienze biologiche. L’immagine della gelosia iscritta nei geni, infatti, affascina soprattutto gli Italiani con un livello di istruzione medio-basso: l’80% dei rispondenti con la licenza media la condivide, contro poco più del 50% dei laureati – una percentuale comunque non sottovalutabile.
Ad arricchire la complessità delle opinioni sull’origine biologica della gelosia concorre un altro aspetto di particolare interesse: diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare, la tendenza ad attribuire alla gelosia una radice genetica non si accompagna necessariamente ad una sua lettura in chiave evolutiva, secondo la quale tale emozione avrebbe costituito una sorta di meccanismo di difesa della coppia, funzionale alla sopravvivenza della specie.
Solo il 29,3% degli intervistati ritiene che l’essere geloso abbia favorito l’uomo nella sua evoluzione. Più del 60% degli Italiani, invece, non condivide questa posizione. Per la maggioranza, in altre parole, la gelosia è divenuta parte integrante del patrimonio genetico umano, pur non avendo apportato alcun vantaggio adattivo all’uomo o, addirittura, avendo rappresentato un ostacolo per il suo sviluppo e la sua evoluzione.
La compresenza di tali percezioni, in realtà, non deve sorprendere. Essa trova una spiegazione plausibile nella tendenza, ormai radicata nella nostra cultura e nelle nostre tradizioni, a percepire la gelosia in termini negativi, come un sentimento doloroso e indesiderato, di cui vergognarsi. Quasi un Italiano su due, infatti, è convinto che si tratti di una vera e propria malattia, che deve essere curata attraverso appropriate terapie mediche.
E’ interessante notare come questa opinione sia influenzata dalle caratteristiche degli intervistati. L’interpretazione in senso patologico della gelosia, per esempio, risulta condivisa più dalle donne che dagli uomini (la sottoscrive il 56% delle femmine contro il 42,3% dei maschi) e incontra un favore crescente all’aumentare dell’età: se tra i giovani, coloro che descrivono le persone gelose come malate sono circa un quinto (23%), tra i trentenni e quarantenni (30-44 anni), la quota raddoppia, fino ad arrivare a comprendere i due terzi degli anziani con oltre 65 anni (il 66,7%). Diversamente, un elevato titolo di studio fa propendere per una visione più normale della gelosia; in proporzione, i laureati contrari ad una definizione patologica del sentimento sono più del doppio dei meno istruiti: si tratta del 70,5% contro il 31,7% di chi non ha concluso la scuola dell’obbligo, mentre tra gli Italiani con la licenza media o del diploma di maturità si conta il 56%.
In generale, dunque, coesistono due diverse concezioni di gelosia. Per un Italiano su due, l’essere geloso rappresenta uno stato d’animo naturale e normale, un’emozione da accettare come parte integrante dell’umano sentire, nonostante i suoi risvolti talvolta poco positivi e il suo limitato apporto alla crescita umana. A promuovere questa visione sono soprattutto i giovani, tra l’altro anche più propensi rispetto ad altri gruppi d’età ad ammettere la propria gelosia, e le persone con un livello di istruzione elevato e plausibilmente una, seppur minima, alfabetizzazione di carattere scientifico.
Per l’altra metà degli Italiani, invece, la gelosia presenta una connotazione negativa e patologica, e di conseguenza dovrebbe essere trattata e curata come una vera e propria malattia. Dal momento che tale percezione risulta condivisa più frequentemente dalle persone anziane e con un titolo di studio medio-basso, si può ipotizzare che essa sia legata ad una concezione tradizionale e in parte stereotipata delle relazioni sociali e affettive e dei sentimenti ad esse correlati.
L’aspetto più interessante da mettere in luce, tuttavia, è la centralità in entrambe le posizioni dell’idea che la gelosia abbia un fondamento genetico. Tale diffusione infatti è indicativa non solo della forza acquisita dall’immagine di uomo come pura entità biologica, ma anche della direzione lungo la quale potrebbero orientarsi i desideri e le richieste dell’opinione pubblica nei confronti della scienza e della medicina. Presumere che tutte le caratteristiche non solo fisiche ma anche comportamentali ed emotive di un individuo siano scritte nel suo DNA e possano quindi essere decodificate, alimenta l’aspettativa che si possa intervenire, con appropriate terapie geniche, su qualsiasi anomalia o disfunzione del corpo e del carattere, compresi quegli stati d’animo difficili da accettare o controllare, come la gelosia o la rabbia.
Al di là del caso specifico della gelosia, forse non va sottovalutato il peso di simili percezioni nello sviluppo dei rapporti tra il pubblico e il mondo medico-scientifico. In questa prospettiva, infatti si potrebbe assistere, nel prossimo futuro, ad un’ulteriore domanda di “medicalizzazione” dell’esperienza umana, nei suoi aspetti più disparati, e, nello stesso tempo, ad una progressiva deresponsabilizzazione dell’individuo rispetto ai propri atteggiamenti e alle proprie manifestazioni emotive, che verrebbero sottratti alla sfera della responsabilità personale.
L’articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2005 sull’inserto Tuttoscienzetecnologia del quotidiano La Stampa.
Articolo in pdf e note metodologiche sono disponibili in allegato.
La rilevazione è stata condotta tramite interviste telefoniche con metodo CATI su un campione di 1029 casi, stratificato per genere, età e ripartizione geografica, rappresentativo della popolazione italiana con età uguale o superiore ai 15 anni.
E tu cosa ne pensi? Sentimenti ed emozioni hanno un fondamento puramente biologico o sono il risultato di meccanismi più complessi? Chiederesti l’intervento della scienza e della medicina per correggere eventuali “difetti” del carattere? Secondo te, le emozioni, come la gelosia, sono delle malattie, da curare come tali, oppure rappresentano un’espressione normale dell’umano sentire?
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