Gli Italiani pensano che esercizio fisico ed alimentazione sana siano le cose più importanti per invecchiare bene; alla ricerca scientifica chiedono farmaci e terapie, ma solo uno su due ritiene che sia giusto allungare la durata della vita.
La speranza di vita degli italiani è quasi raddoppiata nell’ultimo secolo: da una media di 46 anni nel 1900 a 76 anni per gli uomini e 82 per le donne. la tendenza alla longevità continua. Sembra che il limite potenziale della specie umana sia intorno ai 120 anni. Il record certificato è di una donna francese, scomparsa il 4 agosto 1997, Jeanne Luise Calment:122 anni e 164 giorni.
Autorevoli esponenti della comunità scientifica indicano nella lotta all’invecchiamento e nella possibilità di prolungare la vita umana una delle prossime frontiere della ricerca biomedica. Al tempo stesso, in vari settori, crescono le preoccupazioni per l’incremento della popolazione in età avanzata e sulla necessità di ripensare di conseguenza politiche sociali e welfare. Diviene, dunque, particolarmente interessante analizzare le opinioni degli Italiani: come pensano di affrontare l’invecchiamento? Quali potenzialità attribuiscono alla ricerca scientifica? E’ giusto perseguire l’obiettivo di una vita più lunga?
Una prima indicazione emerge con particolare chiarezza: fare regolare attività fisica e controllare la propria alimentazione sono considerate le cose più importanti da fare per affrontare meglio l’invecchiamento. Nel complesso, quasi uno su due ritiene che l’attività fisica sia la cosa più importante e oltre uno su tre focalizza la propria attenzione su una dieta corretta. Per uno su dieci è prioritario avere molti hobbies e interessi, mentre è interessante notare come sia decisamente modesta l’importanza attribuita a farmaci e rimedi estetici contro l’invecchiamento. Il 4%, infine, pensa che non valga la pena di fare nulla.
Decisamente interessanti le differenze che emergono tra maschi e femmine: l’attività fisica è più importante per gli uomini (56,2%) mentre tra le donne il controllo della propria alimentazione figura al primo posto. Più importante per le donne anche mantenersi attive sul piano degli interessi e del tempo libero (11,4% contro 8,7%) e – seppure sempre su livelli generalmente bassi – l’utilizzo di farmaci e rimedi estetici.
Più ci si avvicina alla vecchiaia, meno si ritiene rilevante l’attività fisica (dal 57% tra i 15-19enni al 42,9% degli ultrasessantacinquenni). Con l’età subentra, forse, una certa rassegnazione nei confronti della fatica e della difficoltà di fare moto con regolarità. Aumenta invece l’importanza attribuita all’alimentazione – probabilmente anche perché i disturbi che ne possono derivare si fanno sentire in modo più significativo – così come cresce il fatalismo di fronte all’invecchiamento: un ultrasessantacinquenne su dieci ritiene che non valga la pena di fare nulla. Infine, vale la pena di notare come l’importanza dell’alimentazione e di mantenersi attivi anche sul piano mentale sia più presente alle persone più istruite (tra i diplomati/laureati sono quasi il doppio quelli che ritengono che avere molti interessi e hobbies sia il miglior modo per invecchiare). Può forse preoccupare, invece, il fatto che tra le persone meno istruite quasi uno su dieci (9%) ritenga di non poter fare nulla contro l’invecchiamento.
Che cosa potrebbe fare la scienza – o che cosa sarebbe meglio che facesse – per gli anziani? Farmaci e terapie, questa l’aspettativa che emerge con più forza da quasi tre intervistati su quattro. Per curare malattie tipiche dell’età avanzata come Alzheimer e Parkinson (secondo oltre un Italiano su due), ma anche per ridurre il dolore provocato dalle malattie (23%). Meno presente è la richiesta di tecnologia che aiuti gli anziani nelle loro necessità quotidiane (nei movimenti, negli spostamenti, nelle faccende di casa); infine, è da notare che solo un italiano su dieci ritenga che la scienza debba concentrarsi nel tentativo di allungare la vita. La possibilità di vivere più a lungo interessa soprattutto agli Italiani più scolarizzati (tra i quali sfiora il 15%); praticamente doppia tra i meno istruiti è invece l’importanza attribuita a farmaci capaci di lenire il dolore (quasi il 31% tra chi ha solo la licenza elementare). Probabilmente qui giocano un ruolo una fiducia quasi ‘taumaturgica’ nel ruolo del farmaco, maggiormente diffusa tra i meno istruiti, ma anche una migliore qualità della vita (più interessi, più reddito) che rende i più istruiti maggiormente sensibili alla possibilità di allungare la vita.
Per un Italiano su due è giusto che la scienza provi comunque ad allungare la vita dell’uomo, un desiderio ritenuto diffuso tra gli esseri umani. Interessante però notare come un’altra metà non ritenga giusto perseguire questo obbiettivo: la motivazione addotta è soprattutto la necessità di rispettare i limiti naturali della vita (46%), mentre è minoritaria la posizione di chi pensa che una società con molti anziani si troverebbe ad affrontare troppi problemi. Più evidente invece il fatto che più si invecchia, più si considera legittimo che la scienza provi ad allungare la vita (57% tra gli ultrasessantacinquenni). Nettamente maggioritaria tra i più giovani (60%), la posizione di chi ritiene che si debbano rispettare i limiti imposti dalla natura coinvolge tra i più anziani meno di quattro intervistati su dieci.
Nel complesso, il quadro che emerge è quello di una concezione della vecchiaia centrata sulla dimensione fisica più che psicologica, che quindi può essere meglio affrontata ricorrendo soprattutto ad un opportuno esercizio motorio e ad un’alimentazione curata. In questa prospettiva, il ruolo attribuito alla scienza appare meno ‘miracolistico’ di quanto talvolta si pensi ed anzi improntato ad un certo pragmatismo: più che alla possibilità di allungare la durata della vita – che pure è ritenuta legittima da un Italiano su due – le aspettative nei confronti della ricerca riguardano la possibilità di combattere meglio specifiche patologie e più in generale il dolore.
Numerosi segnali invitano peraltro a non sottovalutare l’esistenza di un marcato dualismo di fronte all’invecchiamento, che potrà in futuro riflettersi su considerazioni di equità sociale. A un atteggiamento sostanzialmente ‘fatalista’, rassegnato ad accettarne passivamente la maggior parte delle conseguenze dell’invecchiamento, caratteristico soprattutto delle fasce di popolazione meno secolarizzate, fa infatti da contraltare un atteggiamento ‘attivo’, più diffuso tra i soggetti maggiormente istruiti, orientato ad adottare comportamenti individuali e a sfruttare le opportunità offerte dalla ricerca per affrontare e in certi casi perfino combattere l’invecchiamento.
L’articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2005 sull’inserto Tuttoscienzetecnologia del quotidiano La Stampa
Articolo in pdf e note metodologiche sono disponibili in allegato.
La rilevazione è stata condotta tramite interviste telefoniche con metodo CATI su un campione di 1029 casi, stratificato per genere, età e ripartizione geografica, rappresentativo della popolazione italiana con età uguale o superiore ai 15 anni.
E tu come pensi di affrontare l’invecchiamento? Che cosa potrebbe fare la scienza – o che cosa sarebbe meglio che facesse – per gli anziani? E’ giusto, secondo te, perseguire l’obiettivo di una vita più lunga?
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